giovedì 30 dicembre 2010

lo spostamento d'aria del treno che passa in stazione senza fermarsi.
tu, piantato al binario, rapito dalla velocità e poi rilasciato, molle e ondeggiante e senza fiato.
la luce arancione dei lampioni del parcheggio che fanno la pelle di rana e nero il sangue che mi macchia la lingua quando ti mordo le labbra.

martedì 28 dicembre 2010

"[it] felt to her for example like feeling a desperate, life-or-death need to describe the sun in the sky and yet being able or permitted only to point to shadows on the ground."

ho creduto di avere bisogno di motivi ulteriori per essere meschina, cinica, contorta e deviata.
ma non è così. lo sono e basta, naturalmente.

lunedì 27 dicembre 2010

Ho vegliato la mia confusione fino all'alba.
Ma poi ho dormito perché sono cattiva e negletta.

E ho letto libri e scritto molti sms lunghi perché non avevo carta a portata di mano, ho scritto senza mettere nell'apposita casella il numero del destinatario, ho scritto fino al limite della tecnologia a disposizione che, se vuoi saperlo, non va oltre i 10x140 caratteri in rich format sul nokia E51.

E quando ho raggiunto il limite della tecnologia ho continuato a scrivere sulla carta perché di accendere il computer non se ne parlava proprio e non se ne parlava nemmeno di scrivere o parlare d'amore o della sua assenza, personaggi del melodramma del mio ego in forma di merda che mi ha rotto il cazzo.

Mi ha rotto il cazzo la merda del mio ego in forma di melodramma con personaggi d'amore e d'assenza.


L'illusione non vive da sola.
È figlia della realtà che non vedi perché vedi l'illusione e non la realtà che di illusione è madre.
L'illusione di avere scritto qualcosa È avere scritto qualcosa.
Hai scritto. Scrivi.

Essere scrittore invece credo dipenda dalla fonte primaria di reddito.
Ma di questo possiamo scrivere un'altra volta e un altro ove.

venerdì 24 dicembre 2010

a mezzanotte di freddo e di natale
te le farei scivolare in mano
lucidissime e pesanti forbici
lucidissime e pensanti forbici
perché tu possa tagliare il guinzaglio
i guinzagli
che ti tengono ferma la lingua
che ti tengono ferma la pancia
che ti tengono ferme le gambe
che ti tengono fermo lì

giovedì 23 dicembre 2010

Odio questa città dove è così profondamente inutile e doloroso essere intelligente e bella, o sentircisi, o provarci. Queste strade, questo grigio profondo, piatto, duro, senza vita e senza speranza di vita, dove non c'è più desiderio di nulla, solo delle vittorie del milan.

In cicli indistinti e senza ritmo, segue una lunga e lenta espirazione, uno svuotamento, si dissangua e impallidisce. Ed io, che da qui provengo mi chiedo sempre se, andandomene, mi sono portata via un lembo infetto di questo cancro divorante.

Quando ci torno, tremo a vedere quello che sarei potuta diventare se non fossi fuggita, una donna senza sogni che non includano una visita alla casa della plastica, un abbonamento per dieci depilazioni al centro benessere, e una sera all'anno con le compagne del liceo.

Ma mi hanno chiamato le sirene ed ho sognato di essere lepre, di essere volpe.
Mi hanno chiamato a vivere in vibrazione sui confini.

I am puzzled as the oyster, I am troubled as the tide

mercoledì 22 dicembre 2010

un altro pezzo della storia è questo.

non so fare nulla a richiesta.
se mi chiedi di raccontarti una storia, di costruirti un mondo, mi prende una mollezza strana alla pancia o più in basso, di frustrazione e di rabbia, che si scioglie in una voglia di sesso, paura di aprire le gambe e voglia di farmi sfondare fino a non capire più nulla.
più nulla.

martedì 21 dicembre 2010

di questa storia riesco a raccontare solo pezzi. tutta intera non la vedo, si sfuma, mi perdo.
un pezzo è questo.

continuo a cercare di entrare per questa porta così stretta, mi son piegata, storta, tagliata a pezzi, spedita, cantata, ma non ci passo.
una vagina non la puoi forzare, è peccato.
questa mattina è molto grigia, grigio il cielo, grigio il vestito, grigio il caffè.
questa mattina sono l'angelo piatto e spezzato
che accoglie in un unica tazza il tuo piscio e il tuo suono, il mio ringhio e la mia sconfitta.
questa mattina sono l'angelo piatto e senza cielo,
non volano più le Dominazioni.

lunedì 20 dicembre 2010

decidere cosa voglio.
inventare cosa voglio.
andare da adesso a .
perché andare da qui a infinito è un viaggio che finisce subito.
da qui a un punto, ci si può lavorare sopra.

domenica 19 dicembre 2010

ieri ti sei infilato nel mio letto e mi hai tenuto sveglia fino alle quattro e trentadue.
stamattina ti guardo e non mi sembri granché.
ma torna stanotte.
scriviamo una libro di respiri.
il dolce è buono, l'amaro è cattivo.
oggi mi piaccio banale
parliamo d'altro, vuoi?

il legno del pavimento, le curve, le venature scure, quelle blu del mio braccio, te le racconto, le giunture e le fughe tra le piastrelle, ti mostro i bordi fioriti di questa piccola muffa nera che brucia, l'angolo, le briciole di pane, come fare il caffè, quanta acqua, quanta fiamma, quanto tempo, il bosco, ogni ramo, contiamo gli aghi, i fiocchi di neve, su ogni ago di pino, li contiamo, contiamo i passi, quanti scalini, tredici oppure nove.

parliamo di questo ancora solo una volta.
della paura di entrare in una stanza arredata solo di perché?

sabato 18 dicembre 2010

l'incavo del braccio è accogliente,
ci si accomoda la ripetitività del gesto.
e l'unghia che gratta il bordo dello scotch.

il muscolo lombare che si tende mentre solleva il peso delle risposte banali, delle domande disperanti.

niente è in ordine.
e tu ti sforzi ancora troppo.

giovedì 16 dicembre 2010

mi forzo l'insonnia perché adesso odio i risvegli.
dormo tre ore e mi sveglio ubriaca.
di freddo.
sono un lombrico d'inverno.
voglio stare sotto terra.
non parlare più.
non spiegarmi più.

mi cerco negli elenchi, nei cataloghi, nelle raccolte di figurine panini.
bambola di carta, l'angolino bianco da piegare per appendere il vestito si rompre sempre.
a me si rompeva sempre e il vestito appeso storto.

il quadrato sta scomodo dentro il cerchio, con tutti quegli spazi tra la linea retta e quella curva.
ma come cerchio sarei un brutto quadrato.

tu mi vedi?

martedì 14 dicembre 2010

da questo punto, in questo punto sono sospesa tra niente e niente.
sposto la porta che segna l'entrata, la parola che segna l'inizio, l'interruttore che spegne la luce.
sono il momento del cambiamento che non avviene.
stringo forte l'ampiezza dell'oscillazione del tempo:
un respiro, un giorno, una settimana, un anno.

il corpo invecchia.
quello che credevo presente è passato.
sei passato di qui.
cosa? quando? cosa ho sentito? quanto sole c'era? cosa c'era sotto i piedi? e sopra la testa?
il lutto dei ricordi è un tormento.


non voglio pensare. non voglio sapere.
voglio ritrovarti come si trova una moneta per strada.
senza cercare.

mercoledì 8 dicembre 2010

alle volte mi fermo, quando diventano insopportabili la noia e la fatica di stare a questo tavolo con le mani immerse negli spifferi e la testa immersa nei dinieghi e nei dubbi.
mi fermo e mi viene voglia di chiamarti, di mandarti un'email.

ciao, dirti ciao.
dirti ciao, ho voglia di vederti.

ma non lo faccio, non lo faccio perché so cosa vuol dire essere dall'altra parte di questa illusione.

martedì 7 dicembre 2010

non devo essere lasciva,
assaggiare con la lingua la saliva delle belle sirene,
lasciarmi portare dove il pugno non batte alla porta.
devo piegare la bocca, stringere forte la testa tra i palmi delle mani e restare qui.
rispondere agli sms, coltivare le amicizie, dare l'acqua alle piante.

non devo rispondere al richiamo dell'implicito desiderio di tagliare le mosche a metà con le forbici, per ore.
per sempre.
non devo ossessionarmi. non devo ossessionarmi. non devo ossessionarmi.

devo smetterla di andare in giro a dire che ho il cancro,
che sono disoccupata,
che ho venduto la casa per mantenermi,
che voglio mollare tutto,
solo perché non ho altro da dire,
non so mantenere conversazioni formali,
o perché ho paura.

devo avere conversazioni più normali,
o formali (se non fa differenza),
approvare le vostre decisioni,
rassicurare le scelte professionali
i biglietti del cinema.
chinare la testa avanti e indietro ripetutamente nel gesto nordoccidentale di approvazione,
dimostrare di appartenere alla classe intellettuale e politica di trenta-quarantenni che si sente ingiustamente esclusa dal potere intellettuale e politico pur ritenendo di avere fatto le letture giuste, avere visto i film giusti e avere costruito una mappa certa di punti di riferimento politici e intellettuali condivisibili e fondamentalmente corretti da un punto di vista etico, giuridico ed economico.
devo appartenere di più.
essere più esclusiva.
farmi piacere saviano.

ma non posso.
perché ti ho pensato ancora,
gli occhi che si schiudono come stelle,
il passo lungo, la pianta del piede, l'oscillazione delle anche.
quando compri il giornale, quando fai benzina, quando ricordi, quando futuri.

sabato 4 dicembre 2010

quello spazio, quello spazio dietro il divano, quello spazio che avanza, i bordi della libreria troppo stretti per farcelo entrare e avanza dello spazio. quello spazio vuoto.
lo spazio dell'errore che non riempio.

una macchia sul tuo curriculum vitae altrimenti perfetto. quella macchia indelebile, più dei tanti successi, così tanti che non ci stanno più sul tuo curriculum.
una macchia, un buco, che non puoi cancellare. non mi puoi più cancellare.

mi hai regalato una collana, molte perle gialle, ogni perla un mio errore. la collana sono io. è un rosario buddista. mi prego ogni sera dentro quel rosario di errori. mi prego.

giovedì 2 dicembre 2010

come lo chiami quel suono che stride nella testa?
cerco di piegare questo foglio, lungo le linee fustellate, predisegnate, da me, ieri o l'altroieri.
con queste mani, che tremano un po' e sono stanca di continuare, di dover portare gli occhiali.
piego il foglio e viene male, mi incazzo, lo appallottolo, urlo.
tu lo raccogli, lo lisci, mi dici, va bene, va bene. non vedi che va bene?
non vedo. non voglio vedere. voglio solo riuscire a piegare questo cazzo di foglio  lungo le linee fustellate, predisegnate, da me, ieri.


come lo chiami quel suono che stride nella testa?