giovedì 30 dicembre 2010

lo spostamento d'aria del treno che passa in stazione senza fermarsi.
tu, piantato al binario, rapito dalla velocità e poi rilasciato, molle e ondeggiante e senza fiato.
la luce arancione dei lampioni del parcheggio che fanno la pelle di rana e nero il sangue che mi macchia la lingua quando ti mordo le labbra.

martedì 28 dicembre 2010

"[it] felt to her for example like feeling a desperate, life-or-death need to describe the sun in the sky and yet being able or permitted only to point to shadows on the ground."

ho creduto di avere bisogno di motivi ulteriori per essere meschina, cinica, contorta e deviata.
ma non è così. lo sono e basta, naturalmente.

lunedì 27 dicembre 2010

Ho vegliato la mia confusione fino all'alba.
Ma poi ho dormito perché sono cattiva e negletta.

E ho letto libri e scritto molti sms lunghi perché non avevo carta a portata di mano, ho scritto senza mettere nell'apposita casella il numero del destinatario, ho scritto fino al limite della tecnologia a disposizione che, se vuoi saperlo, non va oltre i 10x140 caratteri in rich format sul nokia E51.

E quando ho raggiunto il limite della tecnologia ho continuato a scrivere sulla carta perché di accendere il computer non se ne parlava proprio e non se ne parlava nemmeno di scrivere o parlare d'amore o della sua assenza, personaggi del melodramma del mio ego in forma di merda che mi ha rotto il cazzo.

Mi ha rotto il cazzo la merda del mio ego in forma di melodramma con personaggi d'amore e d'assenza.


L'illusione non vive da sola.
È figlia della realtà che non vedi perché vedi l'illusione e non la realtà che di illusione è madre.
L'illusione di avere scritto qualcosa È avere scritto qualcosa.
Hai scritto. Scrivi.

Essere scrittore invece credo dipenda dalla fonte primaria di reddito.
Ma di questo possiamo scrivere un'altra volta e un altro ove.

venerdì 24 dicembre 2010

a mezzanotte di freddo e di natale
te le farei scivolare in mano
lucidissime e pesanti forbici
lucidissime e pensanti forbici
perché tu possa tagliare il guinzaglio
i guinzagli
che ti tengono ferma la lingua
che ti tengono ferma la pancia
che ti tengono ferme le gambe
che ti tengono fermo lì

giovedì 23 dicembre 2010

Odio questa città dove è così profondamente inutile e doloroso essere intelligente e bella, o sentircisi, o provarci. Queste strade, questo grigio profondo, piatto, duro, senza vita e senza speranza di vita, dove non c'è più desiderio di nulla, solo delle vittorie del milan.

In cicli indistinti e senza ritmo, segue una lunga e lenta espirazione, uno svuotamento, si dissangua e impallidisce. Ed io, che da qui provengo mi chiedo sempre se, andandomene, mi sono portata via un lembo infetto di questo cancro divorante.

Quando ci torno, tremo a vedere quello che sarei potuta diventare se non fossi fuggita, una donna senza sogni che non includano una visita alla casa della plastica, un abbonamento per dieci depilazioni al centro benessere, e una sera all'anno con le compagne del liceo.

Ma mi hanno chiamato le sirene ed ho sognato di essere lepre, di essere volpe.
Mi hanno chiamato a vivere in vibrazione sui confini.

I am puzzled as the oyster, I am troubled as the tide

mercoledì 22 dicembre 2010

un altro pezzo della storia è questo.

non so fare nulla a richiesta.
se mi chiedi di raccontarti una storia, di costruirti un mondo, mi prende una mollezza strana alla pancia o più in basso, di frustrazione e di rabbia, che si scioglie in una voglia di sesso, paura di aprire le gambe e voglia di farmi sfondare fino a non capire più nulla.
più nulla.

martedì 21 dicembre 2010

di questa storia riesco a raccontare solo pezzi. tutta intera non la vedo, si sfuma, mi perdo.
un pezzo è questo.

continuo a cercare di entrare per questa porta così stretta, mi son piegata, storta, tagliata a pezzi, spedita, cantata, ma non ci passo.
una vagina non la puoi forzare, è peccato.
questa mattina è molto grigia, grigio il cielo, grigio il vestito, grigio il caffè.
questa mattina sono l'angelo piatto e spezzato
che accoglie in un unica tazza il tuo piscio e il tuo suono, il mio ringhio e la mia sconfitta.
questa mattina sono l'angelo piatto e senza cielo,
non volano più le Dominazioni.

lunedì 20 dicembre 2010

decidere cosa voglio.
inventare cosa voglio.
andare da adesso a .
perché andare da qui a infinito è un viaggio che finisce subito.
da qui a un punto, ci si può lavorare sopra.

domenica 19 dicembre 2010

ieri ti sei infilato nel mio letto e mi hai tenuto sveglia fino alle quattro e trentadue.
stamattina ti guardo e non mi sembri granché.
ma torna stanotte.
scriviamo una libro di respiri.
il dolce è buono, l'amaro è cattivo.
oggi mi piaccio banale
parliamo d'altro, vuoi?

il legno del pavimento, le curve, le venature scure, quelle blu del mio braccio, te le racconto, le giunture e le fughe tra le piastrelle, ti mostro i bordi fioriti di questa piccola muffa nera che brucia, l'angolo, le briciole di pane, come fare il caffè, quanta acqua, quanta fiamma, quanto tempo, il bosco, ogni ramo, contiamo gli aghi, i fiocchi di neve, su ogni ago di pino, li contiamo, contiamo i passi, quanti scalini, tredici oppure nove.

parliamo di questo ancora solo una volta.
della paura di entrare in una stanza arredata solo di perché?

sabato 18 dicembre 2010

l'incavo del braccio è accogliente,
ci si accomoda la ripetitività del gesto.
e l'unghia che gratta il bordo dello scotch.

il muscolo lombare che si tende mentre solleva il peso delle risposte banali, delle domande disperanti.

niente è in ordine.
e tu ti sforzi ancora troppo.

giovedì 16 dicembre 2010

mi forzo l'insonnia perché adesso odio i risvegli.
dormo tre ore e mi sveglio ubriaca.
di freddo.
sono un lombrico d'inverno.
voglio stare sotto terra.
non parlare più.
non spiegarmi più.

mi cerco negli elenchi, nei cataloghi, nelle raccolte di figurine panini.
bambola di carta, l'angolino bianco da piegare per appendere il vestito si rompre sempre.
a me si rompeva sempre e il vestito appeso storto.

il quadrato sta scomodo dentro il cerchio, con tutti quegli spazi tra la linea retta e quella curva.
ma come cerchio sarei un brutto quadrato.

tu mi vedi?

martedì 14 dicembre 2010

da questo punto, in questo punto sono sospesa tra niente e niente.
sposto la porta che segna l'entrata, la parola che segna l'inizio, l'interruttore che spegne la luce.
sono il momento del cambiamento che non avviene.
stringo forte l'ampiezza dell'oscillazione del tempo:
un respiro, un giorno, una settimana, un anno.

il corpo invecchia.
quello che credevo presente è passato.
sei passato di qui.
cosa? quando? cosa ho sentito? quanto sole c'era? cosa c'era sotto i piedi? e sopra la testa?
il lutto dei ricordi è un tormento.


non voglio pensare. non voglio sapere.
voglio ritrovarti come si trova una moneta per strada.
senza cercare.

mercoledì 8 dicembre 2010

alle volte mi fermo, quando diventano insopportabili la noia e la fatica di stare a questo tavolo con le mani immerse negli spifferi e la testa immersa nei dinieghi e nei dubbi.
mi fermo e mi viene voglia di chiamarti, di mandarti un'email.

ciao, dirti ciao.
dirti ciao, ho voglia di vederti.

ma non lo faccio, non lo faccio perché so cosa vuol dire essere dall'altra parte di questa illusione.

martedì 7 dicembre 2010

non devo essere lasciva,
assaggiare con la lingua la saliva delle belle sirene,
lasciarmi portare dove il pugno non batte alla porta.
devo piegare la bocca, stringere forte la testa tra i palmi delle mani e restare qui.
rispondere agli sms, coltivare le amicizie, dare l'acqua alle piante.

non devo rispondere al richiamo dell'implicito desiderio di tagliare le mosche a metà con le forbici, per ore.
per sempre.
non devo ossessionarmi. non devo ossessionarmi. non devo ossessionarmi.

devo smetterla di andare in giro a dire che ho il cancro,
che sono disoccupata,
che ho venduto la casa per mantenermi,
che voglio mollare tutto,
solo perché non ho altro da dire,
non so mantenere conversazioni formali,
o perché ho paura.

devo avere conversazioni più normali,
o formali (se non fa differenza),
approvare le vostre decisioni,
rassicurare le scelte professionali
i biglietti del cinema.
chinare la testa avanti e indietro ripetutamente nel gesto nordoccidentale di approvazione,
dimostrare di appartenere alla classe intellettuale e politica di trenta-quarantenni che si sente ingiustamente esclusa dal potere intellettuale e politico pur ritenendo di avere fatto le letture giuste, avere visto i film giusti e avere costruito una mappa certa di punti di riferimento politici e intellettuali condivisibili e fondamentalmente corretti da un punto di vista etico, giuridico ed economico.
devo appartenere di più.
essere più esclusiva.
farmi piacere saviano.

ma non posso.
perché ti ho pensato ancora,
gli occhi che si schiudono come stelle,
il passo lungo, la pianta del piede, l'oscillazione delle anche.
quando compri il giornale, quando fai benzina, quando ricordi, quando futuri.

sabato 4 dicembre 2010

quello spazio, quello spazio dietro il divano, quello spazio che avanza, i bordi della libreria troppo stretti per farcelo entrare e avanza dello spazio. quello spazio vuoto.
lo spazio dell'errore che non riempio.

una macchia sul tuo curriculum vitae altrimenti perfetto. quella macchia indelebile, più dei tanti successi, così tanti che non ci stanno più sul tuo curriculum.
una macchia, un buco, che non puoi cancellare. non mi puoi più cancellare.

mi hai regalato una collana, molte perle gialle, ogni perla un mio errore. la collana sono io. è un rosario buddista. mi prego ogni sera dentro quel rosario di errori. mi prego.

giovedì 2 dicembre 2010

come lo chiami quel suono che stride nella testa?
cerco di piegare questo foglio, lungo le linee fustellate, predisegnate, da me, ieri o l'altroieri.
con queste mani, che tremano un po' e sono stanca di continuare, di dover portare gli occhiali.
piego il foglio e viene male, mi incazzo, lo appallottolo, urlo.
tu lo raccogli, lo lisci, mi dici, va bene, va bene. non vedi che va bene?
non vedo. non voglio vedere. voglio solo riuscire a piegare questo cazzo di foglio  lungo le linee fustellate, predisegnate, da me, ieri.


come lo chiami quel suono che stride nella testa?

martedì 30 novembre 2010

sto male.
sto male per la disonestà.
la disonestà delle finte troie, delle ninfette che sognano di fare seghe segrete con le manine fredde, delle apprendiste del porno borghese come distrazione dal precariato e dalla retorica di annozero.
della sodomia come fantasia erotica da villetta a schiera, blocchetto terracielo, box auto, cane, gatti, lettiera smerdata.

sono una troia onesta ma una donna disonesta.

mi coli dagli occhi, dal naso, dalla bocca.
la tua pelle è l'estensione delle mie dita tese.
strappami le calze dove sono bagnate.
ho voglia di cazzo.
ho voglia di crocifiggerti.
ho voglia di pisciarti in bocca.
ho voglia della tua lingua.

domenica 28 novembre 2010

trovo il coraggio di scomparire ed infilarmi tra le pieghe della tua giornata, tra lo sbadiglio e la voglia di caffè sospesa sulla tua lingua, nello spazio sottile tra il pavimento freddo e i tuoi piedi, tra la fessura e la chiave, tra la pelle sottile del tuo collo e la sciarpa, nelle onde delle tende gialle, nel respiro.

trovo il coraggio di volere questo libro, questo sogno, questa fatica, questa attesa, questa presa, questa lasciata, il tuo andare e venire, la tua goccia, il tuo pezzo di lego.

trovo il coraggio di essere visibile, di essere molle, di essere quello che sono adesso, una ragazzina spaventata.

venerdì 26 novembre 2010

dove vado, senza di te?
cosa sono, se non mi guardi?
concetto aereo, distillato ed evanescente insieme, vapore di pelle evaporata, cispe degli occhi, avanzi di lacrime, piedi lunghissimi dal collo alto che si sporge sulle punte per baciarti, accrocchiata e incosciente, trapestio di ossa e di pelle sottile e scollata.

I'm in a fantasy
I wanna be your little lady
Won't you be my big daddy

mercoledì 24 novembre 2010

il cervello è progettato per avere risposte razionali, cause ed effetti.
è la fonte di tutte le bugie, di tutti i mali, la ricerca di ragione sempre e comunque.
l'assurdo e l'errore sono il paradiso in cui germogliamo.
le mani aperte, lasciare andare.

martedì 23 novembre 2010

non sono insonne. è che non voglio dormire.
mi rifiuto di tirare la saracinesca su un giorno, un altro, che ho consapevolmente e con cura monastica tenuto vuoto da ogni senso di compiutezza.
ho paura che a dormire arriverà l'orrore di un domani mattina di attese mancate, promesse fallite, piani giocattolo.
a certi giochi sono brava. la tortura dell'insipido, del latte diluito. il disappagamento.

allora? hai fatto?
no


non è un'insonnia attiva. non faccio niente.
resto sdraiata sul letto come se fosse pietra, scomoda, vestita, accaldata, sporca, il ventre pieno di schiuma gialla e frutta secca masticata male, le sopracciglia strappate a ciuffi, a buchi, rattrappita, assonnata, sospesa, fluttuante, dispersa, inerte.
non voglio fare nulla. ho paura di muovermi. anche il più piccolo movimento, comunicherebbe all'universo di atomi caldi e assonnati in questa stanza che puzza di vernice, che oggi è finito, che domani.

hai fatto?
no.
perché?
non lo so, domani faccio, oggi faccio. tutto.

(10 anni, la stessa frase, ogni mattina)

mi alzo. apro la finestra. mi piace ascoltare il rumore del traffico.
e della lavatrice. vorrei dormire felice, stanca, dentro la tua lavatrice.

domenica 21 novembre 2010

mi piango addosso, è una cosa insopportabile. giro intorno a un buco o forse intorno a niente, ma qualcosa che non capisco deve farmi una paura infantile e ventrale se devo torturarmi come mi torturo per evitare di alzare lo sguardo, aprire una pagina, scrivere una parola, guardare in una direzione, avanti, indietro, domani, ieri non fa differenza.
c'è stato un momento breve, ho saputo starci a mano con la paura e con lui.
c'è stato un momento in cui ho chiuso gli occhi e sono venute le immagini, la luce gialla, dio.

so che verresti, che verrai tu, a dirmi di vedere la distanza che separa l'impaurita dall'imparata, di contare gli anni tra le due.

so che verresti anche tu, che verrai, a dirmi che me li sono inventati questi niente, questi buchi, questi laghi freddi, ma ormai sono vivi e sono veri e sono altri da me o anche no ma comunque sono, stanno, impongono. Levinas diceva la morte.
l'altro, la morte, la bellezza. la paura.
una volta mi piaceva. adesso passo le notti a guardare grey's anatomy.

io non so come cominciare a fare questa cosa, a camminare questa strada, la strada di casa

giovedì 18 novembre 2010

quando è successo?
gli scoiattoli si sono trasformati in ratti magri e spaventati, gli autobus sono diventati rifugi mobili per il rancido dei barboni e il cunicolo dalle pareti di cemento in cui mi muovo si è ristretto.
sono spuntate convessità e ruvidità che richiedono contorsionismi flessuosi a cui non sono pratica.
mi muovo e mi faccio male. non posso stare ferma perché il cunicolo si sta stringendo. mi faccio male ad ogni passo, o quasi e quando è "quasi" mi fermo e respiro e spavento.

l'unica sensazione che mi ricorda che ho una materialità è la testa che sbatte contro le pareti di cemento di questo cunicolo stretto che è il mio giorno.

sabato 13 novembre 2010

che cosa va fatto?
questo va fatto.
aprire le gambe, mostrare la parte molle.
lasciarsi guardare dai tuoi occhi scuri.
lasciarsi mangiare dai tuoi denti bianchi.
questo va fatto.
lasciare le nostre parole abbandonate a fare sesso sopra le nostre teste mentre noi stiamo, vincolati a terra sotto le luci al neon ed i soffitti alti che ci premono al suolo.
le parole sopra le nostre teste fanno sesso e ballano tarante.
questo va fatto.
aprire le dighe ai vostri fiumi di bellezza.

lunedì 8 novembre 2010

lettore che provieni dal social network denominato friendfeed, benvenuto.
adesso sei invitato a tornare nella caverna di rutti liberi da cui sei originato.
addio

venerdì 5 novembre 2010

ho amputato i miei secondi fini.
sono ancora più spiacevole.
sono una melma senza sensi.
ho una pelle ruvida e appiccicosa, le parole che ascolto ci scorrono sopra, non sento niente. sono chiusa in un armadio in qualche stanza di qualche appartamento in una città in un paese, ma non so più quale. la strada cancellata.
sembro malleabile ma sono solo lontana. sto svanendo.
la mia voce cinica e rabbiosa e non rassegnata che mi raccontava della necessità di fare e di vedere e di capire, che mi chiamava alle armi, in città e tra la gente, all'aria e nelle strade. distante. vento caldo, fiacca, fanghiglia.
ho paura. mi manco.
o forse sono solo stanca.
non ho niente da dire.
scrivo solo per non avere delle statistiche da terzo mondo della blogosfera.
vado a preparare un'altra notte sudata e insonne.
mi sembra di respirare merda.

martedì 2 novembre 2010

una foglia non lo sa quanto ci mette a cadere
ma io ingiustamente glielo dico lo stesso
troppo poco, troppo, il tempo giusto
è sempre il tempo mio
quello della foglia non esiste

lunedì 1 novembre 2010

chi cazzo è arturo bandini?

si chiede la voce del popolo che, essendo la voce del popolo e non gli occhi del popolo, parla ma non legge, non legge nessuna forma di letteratura né classica né moderna né conformista né alternativa e soprattutto non legge nulla la cui lettura richiederebbe un tempo più lungo del tempo richiesto da una sditalinata media, tempo che può essere anche lungo se hai problemi di erezione del clitoride, troppo pelo, il lubrificante sbagliato ma pur sempre di sditalinata si tratta.
non legge la voce del popolo, né ha mai letto né mai leggerà per non alterare l'equilibrio da giocoliere che porta una scopa appoggiata sul mento e una in culo, applausi grazie, se leggesse si farebbe uomo, donna, ma non legge .
non legge e conserva con cura quotidiana la sua apolitica ignoranza da mauriziocostanzoshow, non legge e persegue con apolitica cura carlorosselliana, il suo ruolo di idolo culturale per fertili ed eleganti e apolitiche trentenni che venti anni fa, all'età di dieci anni, sognavano di farsi impregnare da uno qualunque dei take that e oggi sono sposate con l'uomo migliore del loro bacino di utenza a volte piccolo a volte molto piccolo a seconda che abbiano fatto la laurea triennale in sede o fuori sede ma con rientro nel weekend per la birra con le amiche al pub a programmare il matrimonio in chiesa anche se non credono ma c'è comunque un'entità superiore, sono sposate, fidanzate, in convivenze di fatto con uomo-migliore-del-loro-bacino-di-utenza che oggi lavora in banca, è architetto, è avvocato, gestisce una cooperativa editoriale, è disoccupato, precario, presente difficile, passato difficile, futuro difficile, e le impregna il sabato sulla lavatrice e la domenica dopo la visita ai suoceri o futuri tali e prima della rota al canile comunale a pulire la merda dei cani nelle settimane pari e della rota all'apolitica sede della sinistra radicalizzata nelle settimane dispari, escluso il natale e l'ultima settimana del mese che c'è il mercatino dell'antiquariato fotografico ceramico, e a volte anche prima del concerto del sabato sera di musica alternativa e apoliticamente scorretta in un locale della fascia emiliano-romagnola o dell'hinterland milanese che segue il sabato pomeriggio di spingere il carrello tra gli scaffali dell'equosolidale o a leggere autori giapponesi o qualcosa comprato da feltrinelli dove comprano anche musica dagli scaffali della musica delicata ed emozionante.

chi cazz'è Arturo Bandini.

vado a masturbarmi fino all'insorgere della demenza senile.
le onde sono inutili e inevitabili.

giovedì 28 ottobre 2010

La giovane donna perfetta ospite della mia padrona di casa indossa moonboot di pelo finto bianco come i suoi capelli e jeans con gli strass.
Nella vita ha fatto tutto. Da sola. Hai capito? DA SOLA.
Ha progettato e costruito sedie e città.
Non ha fatto carriera in università perché quelle belle come lei non fanno carriera in università, tutti se le vogliono scopare, non vedono quanto sono intelligenti e preparate.

Ha scritto un libro su piazze reali e piazze virtuali ma non sa nulla di piazze virtuali, di quelle si occupa l'altro autore che è giornalista rai, scrive ficscion, l'ha invitata in trasmissione più e più volte. Lei scrive la storia della piazza reale. In 2 comodi fascicoli a puntate.

Faccio fatica.
A gestire l'invidia.
Per i capelli color moonboot di pelo bianco.
E la faccia marrone da fondotinta di pupa.
Per il narcisismo sfacciato che ti fa andare avanti comunque.
Per saper farci qualcosa della paura e dell'imbarazzo di avere un buco in mezzo alle gambe.

martedì 26 ottobre 2010

surrealismo a portata di mano, quando ti bacio ad occhi aperti
quando autografi il mio diario con una penna bagnata
ci vorrebbe una specchio a lunga durata
non basterebbe a dirmi chi sei, se eri.

la poesia è un pettirosso sulla sedia
la poesia è un fastidio
sempre là dove nessuno lo vuole

The minutes that really matter
are the minutes I spend helpless

venerdì 22 ottobre 2010

bruciano sulle tue gengive secche, come coriandoli di carta velina, quel movimento spezzato con cui tiri il labbro superiore per ricoprire gli incisivi di una patina di saliva e nascondere la secchezza dei tuoi orifizi e l'orrore delle tue parole.

hai una tagliola al posto della bocca e apri e chiudi e falci vite e futuri e bambini e cuscini di divano e cibo per gatti.
la tua piccola testa di topo su corpo di vomito di corpo: avanti e indietro, destra e sinistra.
racconti nervosa dei vantaggi organizzativi e democratici dell'investimento pubblico in vasi di fiori da appendere a finestre di case dove non c'è riscaldamento per tutti.

la forchetta ti pianto nel collo più e più volte e ti apro la gola con le mani, ti strappo la trachea, fa un rumore come quando disosso il pollo.

poi fuori è freddo ma senza stelle e ho i lampi nella testa ma non mi sento in colpa per averti tracheotomizzato, solo a disagio per la mia dissonanza con le regole del buon vivere sociale che mi obbliga a odiare i miei compagni.

mercoledì 20 ottobre 2010

Mi sveglio sempre più presto, in una luce blu.
Mi faccio piccola nel letto, non ho coraggio di allungarmi.
Sono sempre più confusa, intorbidita, amara, stitica, un rovo di spine.
Ho paura ad infilare la mano là dove una volta andavo a massaggiare gli spigoli, a renderli curvi.
Guardo il mio riflesso che ritorna una donna che non riconosco.
Sul margine del cerchio che ha centro tre dita sotto il mio ombelico e ha raggio sulle mie braccia lunghe, sottili e segnate da vene azzurre, tutto sembra scorrere di una leggerezza inusuale.
Quelli che incontro mi sorridono, mi ascoltano. Io non mi sento parlare.


È nato un altro seme di avocado.
Devo fidarmi della vita materiale.
Dentro, nel rovo, giace una bestia fiacca e senza più genia.
Adesso fuori c'è il sole. Devo bere a piccoli sorsi, contare i singulti.

lunedì 18 ottobre 2010


nuovo teorema
"what about goodness?"
"someone else always has to pay for your goodness."


fine del buonismo salvifico e della buonezza mistifica per decretata inefficienza economica.
meglio trasfigurarsi in se stessi, attraverso una meticolosa pratica dell'assurdo radicale inclusiva di burocrazia a la brazil.
pochissimi i rischi collaterali: al massimo vi ritrovate in perizoma e giubbotto di pile a seppellire in un deserto di neve un cane nero che vostra moglie ha ammazzato a coltellate.
oppure vi ritrovate a mangiare le budella del e dal cadavere della vostra amante su una pista di pattinaggio su ghiaccio alquanto nebbiosa.

che volete che sia.

(oltre a PPP io ci ho visto pure Bela Tarr, ma io vedo Bela Tarr ovunque)

domenica 17 ottobre 2010

quando l'occhio interno si annoia, sento la testa lentamente riempirsi di grigi fascismi mascherati da psicologismi da sciampista.
frasi come "non ho una direzione".
un'accademia della crusca di precotte pappette in forma di parole sconnesse.

ho un corpo che sente, che sa, che vuole raccontarmi di me. mi fermo ad ascoltare.
il mio ginocchio ad esempio.
sa di quando sono caduta dall'altalena per bambini e avevo quindici anni e una vespa 50 bianca ereditata da mia sorella che leggeva linus e si beccava gli sberloni di mio padre perché era iscritta alla fgci.
sa delle risate di mimmo quando, caviglia debole quale sono, inciampavo facilmente e su quel ginocchio cadevo, sbucciandolo e a volte strappando i pantaloni.
sa di quelle lenzuola ruvide, un novembre fa, che l'hanno arrossato mentre stavo sopra ad un uomo che poi da quelle lenzuola è scivolato via, un'altra schiena da salutare.

e questo pelo sul mento, che cresce e io strappo, e cresce e io strappo e indifferente, racconta di una testardaggine ignara e un destino naturale, frasi brevi (niente peli lunghi sul mento).
i miei peli hanno valori, di perseveranza e innocenza.
non gli serve una direzione

sabato 16 ottobre 2010

scheletro di ragno, vuoto.
sarcofago di blatta, melmoso.
vi odio perché non mi volete.
vi odio perché vi volete tra voi.
l'odio mi fa bagnare e mi fa venire voglia di iniettare il cancro ai vostri figli.
però poi finisce solo che mi masturbo.

coro di uh oh, questa è pazza, malata, via via scappare.
voglio passare questo sabato con te che non sei scappato e che non mi hai mai detto brava.

giovedì 14 ottobre 2010

tanto l'ho aspettata, è nata vuota e cobalto e occhi, la mia meraviglia.
di tutto si abbraccia.
di tutto si bagna.
di tutto si paura.
non distingue tra mattoni sporchi, elicotteri, bianco a righe, foglie rosse, mal di testa, lombrichi, bionde faunesse.
al centro del mandala attende e guarda e sorride.
gli intellettualismi dei perché, dello sguardo introverso, dello specchio sociale sono lontani, lontani.

ho la pace della mano tesa a sfiorare il mondo.
al prossimo amante chiedo di spezzarmi un braccio.
lo riaggiusterò storto e non dimenticherò più la meraviglia della sua voce soffiata prossima al mio orecchio sensibile.

mercoledì 13 ottobre 2010

tesa e torta come una sartia salmastra, arrotolata e ruvida.
corde tese sotto la pelle.
la notte passata a sentire colinergie in circolo e respiro corto.
la notte è passata ad occhi freddi e nocche bianche.
la mattina è arrivata incerta.

I am scattered

martedì 12 ottobre 2010



































che cosa ha significato essere desiderata da te?

su quella spiaggia, su quella sabbia dove si è incarnato in dita intrecciate, il tuo desiderio di me, il tuo desiderio della donna che so di essere, il tuo desiderio della donna che sono.
contro quel vento e sotto quel cielo che ti ha visto consapevolmente, colpevolmente iniettarmi il desiderio di te e risvegliarmi.
il tuo desiderio di me esplicito, sfacciato, bambino, senza domande, senza dubbi perché mai ha interrogato se stesso, mai si è soffermato a guardarsi riflesso, occhi puntati su di me, le mie parole piene del desiderio di te.
mi hai desiderato come sono, rotta, cinica, confusa e avvelenata, il tuo desiderio mi ha insegnato a volere quello che voglio, mi ha liberato dalla colpa, dalla vergogna, dalle domande che non servono.

essere desiderata da te è stato come dormire tra le braccia di dio.
ma dio non esiste. forse tu.

lunedì 11 ottobre 2010

in questo fine settimana ho avuto tempo per:

  • non fare niente di quello che dovevo fare;
  • vedere una mostra di gauguin;
  • un incontro a metà strada tra psicanalisi e buddismo su saggezza e desiderio;
  • comprare scarpe che non so come pagare;
  • infatuarmi di un uomo che ho annusato per pochi minuti per poi scoprire che appartiene ad altre labbra. e pensare che già mi vedevo in ginocchio con il suo uccello in bocca. come al solito mi resta solo una domenica notte di youporn, law&order e hrabal.

buonanotte e benvenuti in questa settimana.

domenica 10 ottobre 2010

Non voglio rassicurazioni e non ne offro.
Da me non ti verrà mai la pacca sulla spalla, la negazione del tuo male e della tua piccolezza, il complimento bugiardo anche quando sincero, che impicca perché nega il diritto ad essere marci, stronzi, fetenti. Desiderati e marci. Voluti e marci. Senza compromessi, senza condizioni.

L'ansia di chi cerca bellezza e sollievo in ogni cosa, in ogni curva e retta del mondo e di se stesso mi fa orrore, una prigione francese del diciottesimo secolo con ratti e blatte mi pare un sollievo al confronto. Io sono merda e ne vado fiera. Sono fiera di avere abbandonato ogni coscienza e bisogno di stare dentro questo insaziabile nirvana in cui non esistono nemmeno più le parole, le idee per descrivere e raccogliere la purezza e l'onestà dello sguardo che non nega la notte, la lama, i muchi, lo sperma, che non chiede permesso, né perdono.

Non ho bisogno dei sogni banali e imposti da chi mi vuole china, piegata in immondi e immensi sforzi quotidiani per raggiungere cosa? Piacermi allo specchio? Piacermi quando parlo? Farmi piacere il convenzionale o l'anti-establishment? Non me ne frega un cazzo di essere accettata, è un ragionamento da trogloditi, da primitivi, conformista, enormi infinite gigantesche stronzate con le quali mi rassicuravo una volta, che hanno bruciato più ore inutili di quante non ne abbia bruciate guardare House tutte le sere.

Da me non ti verrà mai una rassicurazione. Se vuoi venire qui a vomitare io mi siedo nel tuo vomito e insieme lo celebriamo. Questo te lo posso dare. Questo te lo voglio dare. È un tuo diritto.

Io voglio lo stupore nei miei occhi, la meraviglia che c'è dentro di te, il tuo desiderio della mia devianza.

sabato 9 ottobre 2010

Qualcosa è mancato, un sostegno, un tutore come per le piante.
Non conosco regole di funzionamento se non quelle dettate dall'istinto che spesso sbaglia.
Le vorrei ma non sono venute, me le sono dovute dare e tante non funzionano perché a 11 anni non sai niente e ti inventi una struttura identitaria costruita su un misto di genitori crudeli e cartoni animati giapponesi che diventa una bibbia, un vangelo dell'assurdo e intanto cresci come un animale piegato dagli eventi.

Dentro, che fuori una parvenza di struttura ce l'hai. Se non altro per aver copiato quella degli altri.
Ma per dartela dentro arrangi il mondo come viene.
Quindi in realtà, questo pastrocchio di carne e pensieri che sono è anche figlia mia. Sono mia figlia e mi sono tenuta insieme, mi sono fatta crescere e venire bella come piace a me.

Mai avuto la sensazione che la vita debba ancora cominciare?
Io sempre. 
Penso che è perché non mi hanno salutato sulla porta di casa, quella mattina, prima di andare a scuola.
E io sono lì, ad aspettare che mi dicano che va bene alzarsi e andare e che saranno lì quando torno all'una per pranzo.
E invece no. Non me l'hanno detto.

venerdì 8 ottobre 2010

in tutti i miei incubi c'è sempre il fraintendimento e la punizione per il fraintendimento.

la frustrazione non nasce perché il messaggio aveva un senso quando è partito e un altro quando è arrivato, ma perché già da principio ho usato una parola per dirne un'altra. Il fraintendimento non è nel significato ma nei fini, questo lo rende doloroso.

la fatica di sisifo non è farti capire cosa dico, quello te lo posso spiegare, ma riuscire a dirti cosa voglio, perché quello non lo so nemmeno io. probabilmente niente, ma questo non volere niente non è dato in questo mondo, 2010 europa occidentale, bisogna sempre volere qualcosa o qualcuno no?

ma perché la punizione? in quale fragilità mi pongo nel non saper dire cosa voglio?

camminando veloce in mezzo a strade nuove ieri sera pensavo che vorrei vivere accanto ad un uomo sordo, che capisca il messaggio al di là delle parole.
visto che io non riesco a stare zitta.

giovedì 7 ottobre 2010

Sono ancora dentro i confini della malattia, la malattia che mi fa girare lo sguardo in basso verso sinistra, masturbarmi un sopracciglio e cercare le parole.
Le parole che ti avrebbero fatto desiderare me, che te l'avrebbero fatto venire duro, che ti avrebbero fatto venire voglia di cercarmi.

La malattia dice che c'è una parola esatta, due forse, ma solo quelle. Due parole esatte che però non esistono, due parole esatte e magiche che sono fumo. Dice che ci sono delle regole, che le regole si possono trovare, che il mondo è una macchina, che le persone sono macchine con i pulsanti. Ma anche questi pulsanti sono invisibili. Sono invisibili a me. Gli altri sembrano averli trovati.

La malattia ti dice che tutto funziona per regole e macchine ma ho letto il manuale ed è tutto di pagine bianche.

Tengo la penna sospesa sulla pagina bianca di un manuale inutile.

mercoledì 6 ottobre 2010

varsavia era un cumulo di macerie dopo la guerra.
hanno usato i quadri di canaletto per ricostruirla.

sono un cumulo di macerie e non ho voglia di ricostruirmi.
graniglia, fiocchi di cenere, scaglie di pittura.

magica farmacia di parole
dove sei?
onde immobili sul laminato di questa stanza artificialmente mia, le stecche di tensione elettrica dalla resistenza, arancio e grigio e arancio e nero. la sera torno a casa dopo giornate vuote e bugiarde, menzogne mi stanno addosso, mi soffocano, mi gonfiano la lingua, secca e arrotolata, non ho più voce.

affondo nel silenzio come nel cemento molle e freddo.

martedì 5 ottobre 2010

la paura mi ha accompagnato tutto il giorno.

la mia banalità mi offende come mi offende l'ottimismo ignorante che echeggia in giovani voci femminili votate ad un'assertività politica di facciata e ad una vita chiusa entro i confini di sedate sperimentazioni sessuali con amanti garbati e fedeli e domeniche culinarie per suoceri protettivi del loro investimento.

non leggo più. sto diventando ignorante e ripetitiva.
so di essere stata una persona interessante, ormai sono solo cattiva e amara. senza interessi. solo fastidi.

domenica 3 ottobre 2010

mia sorella mi ha messo sotto metadone.
ma le cose le smetti quando non ne hai più bisogno.
io ho ancora paura delle donne. le invidio tutte.
ma almeno non sono subdola. 
quella qualità (utilissima per vivere bene in un mondo di serpi) non ce l'ho.
sono invidiosa davvero, in faccia.

scrivere fa bene. quasi come certe scopate.
camminare mi fa bene, in mezzo al traffico la sera prima di cena, di natale.
ascoltare lo stesso pezzo per cento volte di fila mi fa bene.
leggere libri dipende.
leggere il giornale non lo so fare più.

sabato 2 ottobre 2010

Mosche lente, grasse, rinscemite dal freddo e dal grigio continuano a infiltrarsi nelle crepe degli stipiti di legno marcio delle finestre di alexandra house. Vivono in densi grumi neri, immagino si mangino tra loro, con indifferenza, senza identità, senza paura.
Non conosco sopravvivenza senza colpa. Il cannnibalismo mi è inevitabile.
Cadono piccoli cadaveri addormentati quando apro la finestra. Una, al massimo due volano via, sorrette dalle correnti ascensionali del riscaldamento.

venerdì 1 ottobre 2010

Pneumatici sul cavalcavia, il rumore in sottofondo, appena increspato dai fuck you mate dei giamaicani qui sotto e dalle sirene di ambulanze e polizia.
Odore di vernice bianca e cipolle, aleggia come un fantasma placido per le scale di alexandra house.
Facce verdi sedie verdi pareti verdi cibo verde.
La mia anima marcia qui fiorisce orrendi deformi fiori rosa di trifoglio. Forse un giorno vengo bene anche in fotografia.
Non penso.

mercoledì 29 settembre 2010

Stamattina mi hanno svegliato i vicini che fanno lavori sul tetto. Gli ho urlato qualcosa dal balcone e mentre ero lì fuori ho visto una fila di lampioni spegnersi in lontananza. Prima era buio, poi si sono spenti i lampioni ed era chiaro, giorno.

Quando stavo con E. ero una foglia accartocciata, paralizzata come uno scheletro di ragno agghiacciato sul davanzale, vuota, riempita di rabbia e insulti. Le mattine con lui mi mancano, mi manca quella sicurezza del disastro, della demolizione, mi manca il suo corpo forte e caldo che si sveglia accanto a me anche quando mi rifiutava. Era una giustificazione, un senso, una direzione. Era senso.

Il dono che mi ha fatto E. è avermi dimostrato con certezza che preferisco una relazione di merda con un uomo straordinario piuttosto che una relazione felice e senza attrito con un uomo senza ispirazione. Preferisco menarmi con un uomo colto e intelligente, anche se fascista, piuttosto che andare d’accordo con un uomo noioso. Per avere e trattenere l’uomo che desidero sono disposta a vendermi, mascherarmi. Questo è il mio male, il mio bambino. So quali sono i vantaggi di questo tranello. So quali sono i costi.

Voglio che le sirene mi portino a loro. Voglio che tu mi racconti come un romanzo.

giovedì 9 settembre 2010

In questi ultimi mesi ho successo con i semi di avocado.
Per anni, di tutti quelli che ho coltivato non ne è germogliato uno.
Gli ultimi tre, invece, tutti.
Li tengo due o tre giorni in un bagno amniotico, tiepido e buio.
Poi li pugnalo nel fianco coriaceo e bruno con tre stuzzicadenti e li abbandono in un vaso di terra zuppa d'acqua.
Dopo due o tre settimane la nascita.
Uno spuntone di radice dal culo e uno spuntone di tronco dalla testa. Diritti.
Come certi pensieri saggi, certe idee che durano e guidano.
Come gli uomini che hanno resistito al dolore senza seccarsi, senza farsi pagliacci, giullari.
Al supermercato stamattina volevo comprare la colonia baby johnson. Avevo bisogno di qualcosa di innocente per spazzare via il ricordo del sogno lesbo splatter in cui fuggivo da una gangbang di braccia mozzate e fiotti di sangue. Mi rifugiavo in una stanza vuota, solo una sedia e D.R. che a fine agosto mi aveva preso per mano camminando alle Zattere.